C’era una volta una bottiglia di Barolo, grande marca e ottima annata, viveva in una cantina comoda, dalla giusta umidità e temperatura, al buio, senza vibrazioni, insomma, una situazione perfetta. Ma gli anni passano anche per un grande vino, e il nostro Barolo era preoccupato, si chiedeva come mai nessuno avesse ancora pensato ad aprirlo per fargli finalmente vivere la vita che meritava. Si, perché un vino è vivo solo quando è nel bicchiere e viene bevuto, quello è il momento in cui gli sforzi di tutti coloro che hanno lavorato per produrlo acquistano un senso. Ma il colore del Barolo diventava ogni giorno più pallido, quasi arancione, si iniziava a sentire qualche odore di ossidazione, anche il tappo cominciava a non farcela più, e, se si fosse aperto anche un solo spiraglio, sarebbe stata la fine.
Ma il fortunato proprietario, conscio di avere a disposizione una grande bottiglia aspettava… Non voleva rovinare il momento magico con un abbinamento sbagliato: solo la Selvaggina da Pelo sarebbe andata bene, perché così dicevano le Sacre Regole; purtroppo per lui la lepre in salmì non è un piatto che si trova facilmente al supermercato e amici cacciatori che gli avrebbero regalato daini e cinghiali con un buco in fronte non ce n’erano. Di imbracciare una doppietta non se ne parlava (meno male), così il Barolo fu condannato ad una morte lenta e inesorabile. Lo so, è una storia terribile, ma ne sono successe tante e non solo al Barolo, anche Brunello, Amarone, Champagne o qualsiasi altro vino che trascendesse la quotidianità ne sono stati vittima. Fortunatamente qualche bottiglia viene stappata, ma sempre con il patema d’animo di aver fatto bene, di aver azzeccato l’abbinamento. Il paradosso poi avviene quando il nostro amico del Barolo e della Selvaggina se ne va alla trattoria da sei pallini Tripadvisor e si scofana, per esempio: antipasto di crudo di mare, bucatini all’amatriciana, sella di capriolo con mirtilli e tiramisù, bevendoci dietro, per tutto il pasto, il rosso della casa, vino pressoché inutile, se non dannoso, su tutti i piatti. Allora vediamo di fare chiarezza sugli abbinamenti, perché, come abbiamo visto, da un lato c’è il concetto teorico che senza l’abbinamento adatto un vino di qualità è inutile stapparlo e dall’altro la pratica pressoché universale di pasteggiare accompagnando i cibi più diversi con un solo vino. L’abbinamento perfetto esiste, basta usare il metodo Mercadini, dove su un complesso diagramma a ragno vengono indicati i valori di sei caratteristiche del vino e sei del cibo, valutando poi graficamente la complementarità dei due elementi. Raro esempio di cosa difficile sia a dirsi che a farsi, inapplicabile nella quotidianità, a meno di non iniziare a pranzo per stappare a cena. Allora accettiamo un concetto molto più semplice e funzionale: al posto di cercare gli abbinamenti perfetti, evitiamo quelli sbagliati. In pratica significa fare in modo che le due personalità, del cibo e del vino, non vadano troppo in disaccordo; così un vino molto strutturato mal si abbinerà a un piatto estremamente leggero e minimale e viceversa un vino bianco leggero sarebbe da evitare con piatti figli di lunghe cotture ed ingredienti elaborati. In pratica evitiamo l’Amarone con il branzino al sale e la Falanghina sul brasato. Ben più universali sono gli spumanti, che, soprattutto se metodo classico, la sfangano sempre. Se i vini sono già classificati in categorie, tutto diventa più facile, così un vino di leggerezza si abbinerà ad un piatto di altrettanta leggerezza, come può essere un’insalata ma anche del pesce o carne bianca alla griglia, il dinamismo del vino si abbinerà a piatti che abbiano nelle corde freschezza e acidità, dai panini, alla cucina etnica ai primi piatti di pesce, alla pizza, più o meno gourmet… Per un vino di sostanza ci vuole qualcosa di più ricco, ma non troppo strutturato, pensiamo a un risotto non esagerato, una parmigiana di melanzane, una pasta con le sarde, ma anche una bistecca come si deve. Se il vino possiede profondità, allora non ha paura di niente, tutto quello che abbiamo detto per dinamismo e sostanza e, in più le lunghe cotture, i tagli importanti di carne. I vini di contemplazione hanno, quasi sempre, la precedenza sul cibo. Auspicabile avere grandi materie prime per accompagnare, ma l’attenzione deve rimanere su gusto del vino. L’eterno dilemma bianco/rosso si risolve semplicemente guardando il colore del cibo: a colori scuri vini rossi, a colori chiari vini bianchi, con le giuste eccezioni. Facciamo un esempio: Pasta alle vongole e bottarga, senza pomodoro = vino bianco di dinamismo Pasta ai frutti di mare e pomodorini = vino rosato di leggerezza Pasta all’amatriciana = vino rosso di dinamismo o sostanza pasta alla gricia = vino bianco di sostanza Torna a galla il problema del menu completo, con carne, pesce e le cotture più svariate. Qui vale il principio del minimo danno, evitando di nascondere i cibi più delicati e pregiati. Se abbiamo il crudo di pesce e a seguire la coda alla vaccinara, meglio un metodo classico rosè di dinamismo, che ci farà gustare il pesce e si adeguerà alla coda piuttosto che un rosso di sostanza, perfetto per la coda ma micidiale per il pesce. Nessuna verità assoluta, solo idee ed opinioni. Quindi il nostro amico con la bottiglia di Barolo di cui dicevamo all’inizio, cosa avrebbe potuto fare? Tre cose direi: 1 – invitare un paio di amici simpatici e amanti del vino 2 – stappare la bottiglia 3 – metter su un risotto ai funghi come si deve. Con il risultato di avere salvato una lepre, una bottiglia di valore e passato una cena in allegria, parlando di vino e di buon cibo. |
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