Fa discutere la campagna social del Tavernello, che trovate qui, dove tre esperti che vanno per la maggiore si divertono a sbertucciare poveri aspiranti sommelier, incapaci di riconoscere alla cieca il Tavernello e anzi reputandolo un ottimo vino.
La nemmeno tanto implicita conclusione è: voi italiani enofighetti siete tutti degli ignoranti, perché bevete l’etichetta e non il vino. Intanto ricordiamoci che alla cieca possono crollare tutti, anche i migliori. Ricordo che ad una finale del campionato europeo dei sommelier uno dei tre finalisti definì Champagne Demi Sec quello che era in realtà un anonimo Sparkling Wine russo, tappo plastica, che avrebbe ben figurato solo al tirassegno di un luna park, assai peggio dello scivolone sul Tavernello dei nostri eroi. Poi la premessa fuorviante che si deve bere il vino e non l’etichetta, visto che noi italiani abbiamo il “vizio” di bere l’etichetta, come dice uno dei tre esperti. Non vorrei sbagliarmi, ma mi risulta che il vino si produca nei luoghi più disparati intorno al mondo, la diversità di tipologie è immensa, cosi come la diversità di culture. Aprire una bottiglia di Catarratto dell’Etna, di un Riesling della Mosella, di un Sauvignon neozelandese significa rapportarsi a un luogo e ad una cultura, pensare a un paesaggio, a persone, a un clima, significa portarsi via un ricordo, e tutto questo è indipendente dal gusto. La bevuta di Tavernello di cui sopra porterà solo il ricordo di una brutta figura. Certo, si tratta di un vino sicuramente gradevole, ma che non puoi associare a nulla, che sia vigneto, territorio, persone, storia. E’ solo un bere per il bere. Va benissimo se per te il vino è solo una bevanda alcolica, se vuoi pagarlo meno di 2 euro al litro, se uno vale l’altro, se ciò che conta è che scorra giù bene e che non dia troppo alla testa, eccetera. Vale per il Tavernello come per un esercito di vini economici, fatti selezionando cisterne di prezzo basso e buona qualità in giro per l’Italia e per il mondo, assemblando con alta tecnologia e confezionando in modo accattivante. Buoni a volte anche più del Tavernello, ma senza un’origine, senza una storia, senza un perché. Per fortuna esiste ancora qualcuno che si beve l’etichetta, che si inebria di Storia e storie, che è curioso e anche critico, che si confronta con altri, capace di ascoltare il vino, perché se queste persone dovessero scomparire, seguendo il consiglio dei nostri super esperti, in un futuro prossimo potremo bere solo Tavernello e assimilati, dove migliaia di cisterne di Dolcetto, Perricone, Sangiovese, Schioppettino verranno comprate per due soldi e assemblate da una mega cooperativa, per produrre un supervino, buono per tutti e tragicamente uguale per tutti. Un futuro distopico e inquietante che non voglio nemmeno immaginare. Rispettiamo e auguriamo lunga e prospera vita a chi beve Tavernello, compresi i tre esperti, e rimaniamo con le nostre “etichette”, magari più costose, ma che fruite nel giusto modo, ci arricchiranno e faranno di noi delle persone un pochino migliori. Comments are closed.
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